Questa foto me l'ha inviata la mia amica Chiara - la mia Sister -, ed è stata scattata dal suo compagno, Ema... Uno scorcio che conosco bene, e che mi ha fatto scendere una lacrimuccia! Grazie Kià ed Ema! LAURA
mercoledì 1 agosto 2007
Il viaggio come metafora
La metafora del viaggio, via terra, via mare o anche come volo, ricorre nelle opere di diversi scrittori e poeti che l’hanno appunto utilizzata in riferimento a molteplici aspetti della vita dell’uomo: il distacco, la crescita, la costruzione dell’identità. Possiamo dire che il viaggio è paradigma della vita, del percorso esistenziale di ognuno.
Viaggiare è una metafora densa. È una delle cose più semplici, ma anche tra le più ricche di complessità. Viaggiare è avvicinarsi a qualcosa di diverso, ma anche allontanarsi da qualcosa di noto.
Viaggiare è come la conoscenza per Cusano: assimilare l'ignoto attraverso il paragone con ciò che è a noi prossimo, noto. Conoscere è assimilare le differenze, annullare le distanze: è rendersi infiniti.
Viaggiare è ciò che ci proietta in una dimensione infinita perché è la negazione del confine, del limite, del finito. Ciò avviene sia fisicamente, sia spiritualmente. Per rendersi conto della fascinazione dell'andare oltre, basta riguardare Ulisse-Dante. Cosa c'è in comune tra l'eroe e il suo poeta? Quando i confini fisici sono esauriti, si aprono quelli metafisici: ecco il viaggio nell'ade di Ulisse, ecco il viaggio di Dante nei regni ultraterreni.
Andare oltre ha sempre affascinato. Viaggiare è attraversare: è dare tempo e spazio all'inquietudine. È ciò che ci dà una folla di esperienze e sensazioni. Ci mette a confronto con noi stessi, con la nostra identità, che è non soltanto culturale, di appartenenza, ma è anche identità dell'io, della particolare e irripetibile singolarità. Ma l'io che riemerge al termine del viaggio, che riapproda al punto di partenza (che è la vera conclusione dell'esperienza del viaggiare, è tornare a casa), quell'io non è più lo stesso. L'attraversamento dei confini spaziali, del fuori, di luoghi altri, ha mutato la natura del soggetto: nel viaggio spaziale si è inserito un percorso spirituale nella profondità dell'io. L'uomo è lo stesso e non più il medesimo: la riduzione dell'ignoto, dell'esterno, si tramuta in dilatazione del mondo interiore. Il limite valicato, il soggetto fascinato dall'infinità possibile appena scoperta.
Questo bisogno di distrazione è così forte che, per rendere tollerabile la quotidianità delle nostre città, s'inventano spazi artificiali, scampoli di viaggi, di un altrove desiderato.
Oggi c'è ancora un altrove, un ignoto per l'uomo? Obbligati da una piatta quotidianità, si cerca disperatamente nelle nostre grandi metropoli un luogo altro, manipolato dall'uomo per ricreare tra cemento e traffico un'oasi di natura: si pensi ai giardini, ai parchi, agli zoo, ma anche alle palestre, con le loro macchine che reinventano in modo artificiale movimenti naturali.
“Viaggia, scoprirai il senso delle cose e il valore degli uomini.”
Viaggiare è una metafora densa. È una delle cose più semplici, ma anche tra le più ricche di complessità. Viaggiare è avvicinarsi a qualcosa di diverso, ma anche allontanarsi da qualcosa di noto.
Viaggiare è come la conoscenza per Cusano: assimilare l'ignoto attraverso il paragone con ciò che è a noi prossimo, noto. Conoscere è assimilare le differenze, annullare le distanze: è rendersi infiniti.
Viaggiare è ciò che ci proietta in una dimensione infinita perché è la negazione del confine, del limite, del finito. Ciò avviene sia fisicamente, sia spiritualmente. Per rendersi conto della fascinazione dell'andare oltre, basta riguardare Ulisse-Dante. Cosa c'è in comune tra l'eroe e il suo poeta? Quando i confini fisici sono esauriti, si aprono quelli metafisici: ecco il viaggio nell'ade di Ulisse, ecco il viaggio di Dante nei regni ultraterreni.
Andare oltre ha sempre affascinato. Viaggiare è attraversare: è dare tempo e spazio all'inquietudine. È ciò che ci dà una folla di esperienze e sensazioni. Ci mette a confronto con noi stessi, con la nostra identità, che è non soltanto culturale, di appartenenza, ma è anche identità dell'io, della particolare e irripetibile singolarità. Ma l'io che riemerge al termine del viaggio, che riapproda al punto di partenza (che è la vera conclusione dell'esperienza del viaggiare, è tornare a casa), quell'io non è più lo stesso. L'attraversamento dei confini spaziali, del fuori, di luoghi altri, ha mutato la natura del soggetto: nel viaggio spaziale si è inserito un percorso spirituale nella profondità dell'io. L'uomo è lo stesso e non più il medesimo: la riduzione dell'ignoto, dell'esterno, si tramuta in dilatazione del mondo interiore. Il limite valicato, il soggetto fascinato dall'infinità possibile appena scoperta.
Questo bisogno di distrazione è così forte che, per rendere tollerabile la quotidianità delle nostre città, s'inventano spazi artificiali, scampoli di viaggi, di un altrove desiderato.
Oggi c'è ancora un altrove, un ignoto per l'uomo? Obbligati da una piatta quotidianità, si cerca disperatamente nelle nostre grandi metropoli un luogo altro, manipolato dall'uomo per ricreare tra cemento e traffico un'oasi di natura: si pensi ai giardini, ai parchi, agli zoo, ma anche alle palestre, con le loro macchine che reinventano in modo artificiale movimenti naturali.
“Viaggia, scoprirai il senso delle cose e il valore degli uomini.”
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